Empyrium – “A Wintersunset…” (1996)

Artist: Empyrium
Title: A Wintersunset…
Label: Prophecy Productions
Year: 1996
Genre: Symphonic/Folk Doom Metal
Country: Germania

Tracklist:
1. “Moonromanticism”
2. “Under Dreamskies”
3. “The Franconian Woods In Winter’s Silence”
4. “The Yearning”
5. “Autumn Grey Views”
6. “Ordain’d To Thee”
7. “A Gentle Grieving Farewell Kiss”

Capitombolare dal cielo come una folgore devastante attraverso le nere nubi di un retaggio unico: l’idiosincratico astrum luciferi che, traslando in rinnovata estetica il cuore pulsante delle idee già presenti in un quattro-tracce etichettato Impurity verso stature di tutt’altra elevazione e visione, avrebbe catturato tutta la magia di uno sguardo prolungato alla volta celeste nell’istante del tramonto tra il 1995 ed il 1996.
Ma dal mix di “Medieval Prophecy” e “Worship Him”, dal freddo immaginario melanconico e vampirico di “Transilvanian Hunger”, dall’occulto anelato e dal Black Metal imperniato sulla semplicità ed il ricorso elusivo al mid-tempo più ruvido e concreto, scappando verso i Tumulus e i Mock della cruciale Hammerheart Records, per non parlare degli Ulver, e finire così tra le braccia del romantico e del pastorale correndo liberi verso gli interni cupi della foresta dell’espressione, la storia dell’ascesa rapidissima nell’underground che fu il più ostile del mondo e che porta da un demo come “…Der Wie Ein Blitz Vom Himmel Fiel…” alla pietra di confine “A Wintersunset…” vale ben più dei due anni che questi, cronologicamente sommati, sembrano rappresentare a prima vista.

Il logo della band

Nel gennaio del 1996 gli Empyrium sono del resto sull’estremo orlo di una cuspide spaccata: in studio per realizzare con la forza enorme dell’ingenuità (intesa questa nel suo senso più antico e libero per accezione) il rivoluzionario primo full-length, ma ancora totalmente una band legata al nerbo Metal che, fino all’anno precedente dell’atmosferico demo striato di “Aspera Hiems Symfonia”, “Thy Mighty Contract” e Doom in egual misura, scorre prepotente e velenoso nelle vene dei sedicenni Markus e Andreas. Eppure, proprio a partire dalle cinque pachidermiche tracce di “A Wintersunset…” che in molto, per lungo e per largo, si slegano dall’oscurità acerba di quelle che hanno nei dozzinali Impurity i loro rispettivi punti di partenza, i due incapsulano nella loro proposta tutti i semi di quel fare musica sognante, idealista ed escapista che ne avrebbe contraddistinto il cammino nella sua ampia varietà stilistica; tutta quella terminologia e savoir faire che culmina nell’etichetta forse vagamente ad ombrello di Dark Metal coniata dai Thy Serpent ma così perfettamente inquadrante tanto loro ed i precursori finlandesi (in un qualche modo accomunati sul versante tastieristico, non alieno nemmeno al nastro del 1996 dei Nordwind) che gli invece connazionali Bethlehem dell’apripista “Dark Metal” (fuori in un anno 1994 ancora lontano dalla presa di coscienza globale di un Depressive agli estremi albori, se non ancora in fasce, ma pronto a sbocciare in tutta la sua megalomane negatività proprio nel coevo “Dictius Te Necare”) o “The Silence Of December” (1995) degli al tempo forse leggermente esotici, neerlandesi Deinonychus.

La band

Quel che però di importantissimo, dell’originario Black Metal punto di partenza della voglia di fare musica del duo, resta immacolato ed inscalfibile, irriducibile nei solchi e nelle misteriose impennate melodiche e nelle diversità tanto dei colleghi di “Forests Of Witchery” evidenziati, quanto nel primo disco degli Empyrium, è la crescita esponenziale e l’ingigantimento morboso della sensazione, del sentimento fin dalla prima pennata sulle corde che sospese aprono la vista su “Under Dreamskies”: della consapevolezza a momenti luciferina -sebbene malcelatamente immatura- di essere alle prese col fare della propria arte qualcosa di più grande della propria stessa esistenza, persi totalmente nell’atto di scappare dalla realtà dell’universo esterno per rifugiarsi in quello della propria mente e personalità ancora in costruzione. In questa cianografia e matrice di tutto ciò che è realmente romantico a questo mondo, l’aspetto Black Metal nell’esistenza creativa degli Empyrium non può essere quindi di certo ricondotto al solo demo composto e realizzato tra il 1994 ed il 1995, più nelle teste e nei cuori pagani dei suoi creatori che non sul nastro inciso in un solo giorno, né tantomeno nelle ancora costanti harsh-vocals latrate e alte (si pensi a quelle incastonate in “Yearning” che sanno già di un “Shades Of…” degli Shape Of Despair del 2000 od “Ordain’d To Thee” che tanto anticipa gli Agalloch di “Pale Folklore”), quanto piuttosto inquadrato come punto di svolta nella narrativa del nero genere che, esasperata l’atmosfera da veicolare su ogni cosa e pretesa di aggressione, porta proprio lungo il 1996 a coniare termine e tratti di un ancora oggi solo apparentemente ineffabile Dark Metal.
Ma più che un solo momento di passaggio arturiano, o un limbo di per sé tra due limitrofi e parenti sfumature di fare musica estrema e oscura, “A Wintersunset…” è in ciò un capitolo unico sia nella sua Germania che nell’intero panorama di metà anni ’90, europeo e mondiale al pari: il suono dell’isolazione geografica da tutto e tutti di Schwadorf e del presto allontanatosi Andreas Bach (un tastierista con un’enorme importanza nella scrittura della musica dei primi Empyrium in toto, anche per scambio, feedback ed arrangiamento), entrambi originari di un minuscolo borgo rurale della Germania del nord avvolta da nebbie e brume, la Hendungen che, proprio, regala loro la involontaria chiave nel portone di una squisita singolarità da altri colleghi soltanto sognata e da loro tutto tranne che ricercata ma nondimeno esercitata; tra le sensazioni Dark-Wave e Dark Rock degli anni ‘80 e gli Emperor di “In The Nightside Eclipse”, tra il Gothic/Doom britannico della scuola Peaceville 1990-1992 di My Dying Bride e Paradise Lost, e l’efferatezza pindarica del Black Metal norvegese infarcita di una poetica à la “The Principle Of Evil Made Flesh” ma rispetto a quest’ultimo crucialmente meno sagittabonda ed ancor meno assetata di sangue, seppure evidentemente influente, che fa sbocciare come una viola rilassata, disinvolta nel freddo della neve, le sensazioni classiche, sinfoniche, da camera e simil-orchestrali che arricchiscono preponderantemente sia “A Wintersunset…” (il quasi barocco della suite “The Franconian Woods In Winter’s Silence” o quello della ridotta “Autumn Grey Views”) che il più luttuoso “Songs of Moors & Misty Fields” soltanto un anno più tardi.
Ma a fare la differenza è forse proprio quella venatura di Folk arcadico, georgico che, sospesa ad una metà impari tra “Bergtatt” e i Satyricon, costituisce il cuore di tutto lo spleen, di un malumore rassegnato e contemplativo fatto di dolcezza ed amarezza al contempo. È l’enfasi vellutata dedicata al nuovissimo flauto di Nadine Mölter (oggi moglie del compositore e partecipe col suo strumento su ogni disco della band ad oggi, fatta eccezione per l’altrimenti sofisticato “The Turn Of The Tides”), quella all’inserimento delle sei corde acustiche fin dall’incipit e quasi inno concettuale “Moonromanticism” con le sue note di pianoforte dal ritmo di una ballata, se non proprio all’uso tanto generoso delle tastiere che partono dal discretamente vicino “Minas Morgul” di un anno antecedente, a far finire il sasso e costrutto nello stagno, nella pozza riflettente propria degli Empyrium soltanto, per merito di un’atmosfera gotica dal livore inedito in una simile musica che -nonostante sia da ricordarsi inclusa in una prova di debutto- riesce non solo a non arenarsi come parziale crocevia o terra di nessuno tra un Black Metal estremamente melodico, eterei istinti Dark ed arabeschi Doom, intrecci folkloristici e quella pesantezza se non Death quantomeno da “Dance Of December Souls”; ma che riesce bensì ad essere tutto questo insieme e contemporaneamente, con la purezza di quella ingenuità di sorta -di nuovo- da intendersi quali libertà, ingegnosità, inventiva accidentale a cavallo tra le circostanze geografiche (non dissimilmente a quelle che donano vita, su tutt’altre coordinate, ad un disco come “Nord…” dei Setherial) e l’inclinazione personale che come l’incantesimo che solo un mago inesperto si arrischierebbe a fare mischia ascolti, letture, osservazione ed introspezione con febbre tanto empirica quanto wertheriana.

E s’è vero che probabilmente, ai tempi dell’uscita di un disco come “A Wintersunset…”, molto più di quel cambiamento comunque spartiacque può essere accaduto nelle menti dei musicisti rispetto a ciò che un ascoltatore può aver percepito come effettiva novità inserendo l’album nel lettore, in oltre due decenni da quel momento resta nondimeno una dimostrazione priva di stagionalità di quanto infinitamente poco sostituibile in musica sia il fattore ultimo di una semplicità che, ingenua, riesca a trasportare altrove – e di quanto questa sconfigga di norma qualunque strategia preterintenzionale.
Prima dunque della troppo diffusa tendenza generale all’eccesso di zelo nel decidere, nelle possibilità offerte dall’eternità del digitale, dell’importanza regalata al pensare, al ragionare, alla scelta di quale possa essere la alternativa più corretta al fine di arrivare – l’emozione e l’istinto che hanno guidato due giovanissimi membri degli Empyrium a concretizzare l’evoluzione intercorsa già tra demo e “A Wintersunset…” sono quelli che, così troppo spesso dolorosamente mancanti nel mondo della musica oscura di venticinque anni più tardi, hanno liberato senza nemmeno volerlo -o poterlo in qualche modo prevedere- l’energia vitale necessaria alla nascita di un mondo intero. Proprio qui i due tedeschi firmano con una Prophecy Productions alla sua primissima uscita di catalogo regalandole il loro primogenito come offerta in uno scambio rituale: uno che, non fosse uscito o non fosse esistita affatto la band che l’ha composto nel 1996, sigillando con esso parallelamente l’inizio del suo effettivo cammino discografico e pavimentando quella della ricerca della sua label riempiendo il divario tra le sensazioni Black Metal e Neo-Folk, non avrebbe altrimenti dato vita all’estetica di un vero crogiolo d’ispirazione in una nicchia che, nei cuori di così tanti, ha fatto breccia; di un crocicchio di artisti che avrebbe contribuito, ognuno a suo singolare e più o meno rilevante modo, ad un’ondata di musica oscura e al contempo pensosa, intima e in grado di scagliare l’anima come fosse un dardo. Gli Alcest, nei primi anni 2000, con gli Empyrium non per caso ormai in pausa a tempo indeterminato, avrebbero sicuramente offerto alla label una seconda, freschissima matrice da cui riorganizzare il proprio percorso, ma “A Wintersunset…” ne resta davvero la miccia: il calco primo, il più evidente – e forse, non sorprendentemente, il più importante di sempre nel suo genere.

Matteo “Theo” Damiani

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